Recovery letterari

Gli ammolli che fanno bene all’anima

Quando ho comunicato ai miei amici e familiari che mi ero licenziata senza avere un progetto preciso per il futuro, le reazioni sono state fra le più disparate. C’è chi mi ha supportato, chi meno, chi probabilmente mi ha giudicato una pazza, chi semplicemente ha ritenuto di non dovere esprimersi in un modo o nell’altro. La domanda però che mi è stata rivolta più spesso è stata: “E adesso cosa farai tutto il giorno?”.

Questo horror vacui collettivo proiettato sulle mie giornate, mi ha fatto molto riflettere su come siamo arrivati a vivere e ancora più a concepire il tempo a nostra disposizione, non come dimensione in cui è lecito che si possa dare semplicemente spazio all’accadere, ma come una specie di orrifico buco nero da riempire di cose fare. Inizialmente io stessa mi ero preparata un puntuale retroplanning di cose che avrei fatto, manuali che avrei letto, master che avrei frequentato, fiere a cui sarei andata e attività che sentivo giusto avrei dovuto compiere a giustificazione della decisione che avevo preso.

Poi mi sono fermata a riflettere e ho pensato che l’unica persona a cui dovevo rispondere di questa scelta ero io e solo io, sia in termini di rischi che di opportunità e che quindi mi sarei presa tutto il tempo necessario per riposarmi, riprendermi e lasciare venire a galla tutto il sommerso e il naufragato degli ultimi anni.

L’unico progetto in cui mi sarei imbarcata, almeno nell’immediato era quello di dedicarmi a un mio personalissimo recovery, e nel pensarlo mi sono ispirata al grande protagonista del romanzo dell’ottocento: il bagno, la pratica più benefica di tutte per risolvere tisi, isteria, depressione, stanchezza, e finanche il mal d’amore.

L’acqua ha il magico potere della taumaturgia: lava, avvolge, cura e sostiene. C’è un bellissimo cartone animato, che consiglierei a tutti di vedere, La città incantata di Hayao Miyazaki, dove c’è la rappresentazione di uno dei luoghi immaginari più poetici e straordinari di sempre, ovvero le terme degli spiriti. Lì vi si recano gli spiriti che hanno bisogno di cure e che grazie a bagni benefici e acque ristoratrici si riconnettono a sé stessi guarendo dalle loro malattie.

Io mi sentivo esattamente così: spiritualmente vampirizzata e fradicia di angoscia, insomma ‘na fetenzia.

Forte però della letteratura in materia e seguendo le orme di Hans Castorp nel sanatorio della Montagna Incantata, ho deciso quindi che anche io avrei messo a bagno il mio corpo e il mio spirito lasciando che acque e sali facessero il loro lavoro.

Ogni settimana da gennaio fino a poco tempo fa, mi sono dedicata un bagno a tema letterario, con un podcast, un libro o della musica che corroborassero questo disorganizzato percorso di guarigione di cui sentivo avere bisogno.

All’inizio non nego che mi è sembrata tutta una pantomima, ma piano piano, vuoi per la regolarità, vuoi per la cieca convinzione che nutrivo in questo mio piano balzano, ho iniziato a sentirmi meno come la bambina di The Ring e ho iniziato a riflettere sulla potenza salvifica dei gesti riparatori che compiamo ogni giorno per sostenere le fatiche della vita, gesti assolutamente intimi e personali che ci riconnettono a noi stessi.

Mi piacerebbe conoscere i vostri, per cui se vi va, condivideteli!

2019, o caro!

Buoni propositi, anche detti la dittatura delle liste

E anche questa volta, nonostante le profezie Maya ci volessero estinti lustri fa, siamo arrivati all’inizio di un nuovo anno. Non so mai come approcciarmi alla questione “nuovi inizi”, provo sempre una serie di sensazioni contrastanti che spaziano dalla tristezza alla consapevolezza che più gli anni avanzano più diventa necessario cercare il cambiamento, perché il flusso delle cose che accadono nella vita adulta di un individuo lavorante è relegato ai noiosi fatti della routine.

Così non sopporto le revisioni entusiastiche di fine anno tipo: ho mangiato in tanti ristoranti, ho letto tanti libri, ho viaggiato tanto, ho cucinato e imparato a ballare la polka, non tanto per il concetto in sé, che anzi è giusto e buono e sacrosanto e vero, ma perché non riesco a fare a patti con il fatto che questo sia il massimo che una persona possa aspettarsi da un anno di vita appena trascorso.

Ho un problema probabilmente (anzi sicuramente), anche perché i miei ultimi anni sono stati così complicati e duri che dovrei rendere grazia ai corsi di cucina se mai ne avessi fatto uno, e invece riesco solo a non sopportare questo delirio di revisioni e buoni propositi che mi circonda.

Io non li faccio, il mio unico buon proposito, che resta relegato nella sfera dell’impossibile, è ritirarmi in campagna come una nobildonna inglese con il solo pensiero di sfoltire i miei cespugli di rosa con un tronchesino e proteggerli dagli afidi. Pare più un sogno che un buon proposito, ma sono dell’idea che bisogna essere massimamente ambiziosi se si tratta di porsi degli obiettivi, sempre e comunque.

Quindi faccio capolino in questo 2019 con delle aspettative abbastanza realistiche, anche perché come dice il detto, Roma non è stata costruita in un giorno, e aspettarmi cambiamenti epocali da una situazione sulla quale non sto lavorando non solo non è costruttivo, ma anche infantile. L’unica cosa di cui sono certa, è che se mi prefiggerò degli obiettivi, resteranno nell’iperuranio delle idee libere e non li metterò per iscritto.

La questione delle liste infatti mi infastidisce assai: odio questo dilagare delle liste imperanti, liste di libri da leggere, liste di motivi per cui essere grati, liste di propositi, liste di superfood: comprendo l’utile e proficuo metodo dell’appuntarsi le cose, che però io delego a quello che non sopporto fare, tipo la spesa o le attività che devo svolgere in ufficio, perché in entrambi i casi mi dimentico spesso quello che non amo affrontare.

Trovo anche che ci sia un certo misunderstanding di fondo in questa questione, ovvero se sei davvero coinvolto da una situazione, da un’idea o da un messaggio, sei un evidente portavoce vivente di quell’idea e non è necessario fare del proselitismo o appuntarti che per quell’anno perché ti piace leggere, leggerai 100 libri. O che sei davvero grato alla vita, perché scrivi tutte le sere le cose per cui sei grato. O che sei vero amante di cinema, perché te ne guardi 1000 all’anno.

Certo, sono anche conscia del prezioso potere dello scripta manent verba volant, ma comunque ho una certa avversione ideologica, forse un poco snob, per questi fenomeni di costume. Questo è un mio grande limite e difetto: mi perdo dei pezzi di vita a star a guardare quello che non mi piace, lo trovo ipnotico e bellissimo, come guardare i film trash tipo Sharknado.

Comunque, che io lo voglia o meno il 2019 è iniziato, e non so bene quello che succederà, ma so che se sono riuscita a sopravvivere dal 2015 al 2017 (anni funestissimi e pieni di pensieri, troppi pensieri), probabilmente sopravviverò anche a questo, tolto che qualche squalo inizi a piovere dal cielo!

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Buon Anno a tutti!

Insonnia

Virtù teologali del non dormire

A settembre, lo diceva anche D’Annunzio, è tempo di migrare. Poco importa che siano migrazioni fisiche, psicologiche, emotive, situazionali o meteorologiche, settembre è il classico mese di transito che ti conduce dalla fine dell’estate all’autunno (questo almeno prima che si manifestasse il global warming), che ti traghetta dall’ozio delle vacanze estive al rientro al lavoro, che ti pone delle domande, che ti scuote l’anima chiedendo risposte agli interrogativi che uno evita di porsi da aprile in poi, che tanto si sa, si aspettano le vacanze estive.

Questo almeno per la maggior parte delle persone, che vede in settembre, e non in dicembre il reale inizio dell’anno. Io che sono sempre in ritardo su tutto, e che faccio del procrastinare uno stile di vita, attribuisco questo potere rigenerativo al mese di ottobre, un po’ perché mi è più simpatico, un po’ perché ci compio gli anni e quindi fare il punto della situazione è dovere e non velleità.
In questi criptici cambi di stagione e di vita il mio pensiero si fa prepotente e rutilante a causa di una delle affezioni più note e più stressanti di sempre, che pare affliggesse anche le notti del buon Gaio Augusto Cesare: la cara e odiata insonnia.
Io sono un insonne intermittente, dormo bene per mesi (soprattutto quelli invernali), poi dormo malissimo per altri mesi, poi ricomincio a dormire bene, poi male, poi bene, e avanti così in un perpetuo ciclo del disagio che tento ogni volta di gestire nel modo migliore possibile, ma spesso non all’altezza della situazione.
Celine diceva: “Se avessi sempre dormito bene non avrei mai scritto un rigo…” e sono anche io piuttosto convinta che lo stream of consciousness notturno sia prolifico per la scrittura e la creatività e la riflessione profonda, ma trovo allo stesso tempo che sia molto inadatto a chi conduce una vita diurna lavorativa, tipo me.
Le mie notti ultimamente assumono quindi dei toni dai contorni mistici, in cui l’obiettivo finale non è l’eterna benedizione ma qualche ora di sonno ristoratore.

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FEDE
L’appropinquarsi al coricarsi è ebbro della certezza che dormirò. Mi convinco che convincermi che riposerò bene tenga a bada l’ansia, sciolga i nervi, mi proietti già in una dimensione di relax.
Metto in atto le routine che qualsiasi sito web anti-insonnia propone come panacee: bagni caldi, tisane, luci soffuse, letture lente. Faccio bene i compitini e almeno un’ora di prima di dormire evito anche di usare iphone, ipad, televisori, computer, qualsiasi supporto che emani una luce che non sia quella delle lampade analogiche. Per un certo periodo mi sono anche corretta le tisane con il Braulio, come faceva mia nonna quando ero piccola per farmi rilassarmi e dormire, mandando in bestia mia madre che prevedeva per me un sicuro futuro da alcolista.
Medito, ascolto playlist rilassanti e rumori bianchi, metto i tappi nelle orecchie, le mascherine anti-luce e mi stendo, sicura che il sonno arriverà. E il sonno arriva di solito, la mia fede incrollabile soddisfatta.

SPERANZA
E dormo. Per qualche ora, non di più, dopodiché mi sveglio. Mi sveglio e allora inizio a sperare che sia solo una veglia passeggera, un rapido risveglio e che riuscirò a riaddormentarmi presto. Per la maggior parte delle volte questo non accade e quindi inizio a pensare. A tutto, qualsiasi cosa possa essere oggetto di pensiero: cosa mangerò a colazione, cosa ci faccio al mondo, che senso ha la vita, le lavatrici da fare, cosa dovrò fare l’indomani in ufficio, perchè non sono felice, perchè penso che dovrei essere felice e così via. Di solito raggiungo il climax dell’angoscia dopo un’oretta di sveglia, così speranzosa mi alzo e decido di spostarmi in soggiorno, dove da tempo staziona il mio amico notturno, lui, che condivide, insieme al fedele cane, le mie notti insonni: Baruch Spinoza.
Vorrei fare l’intellettuale chic e dirvi che ho comprato l’Etica di Spinoza per spingermi sempre più a fondo nel pensiero di uno dei filosofi per me più interessanti, (motivazioni che di fatto mi hanno spinta all’acquisto di questo tomo imponente), ma vi confesserò la verità: è un libro così noioso (e complesso e straordinario e profondo, blablabla) che lo leggo la notte per riaddormentarmi. Funziona abbastanza, ma non sempre. Quando funziona di solito mi riaddormento e riposo fino al mattino.

CARITA’
Quando non funziona, subentra l’ultima fase, quella della disperazione nera dove imploro tutti gli dei a me conosciuti di farmi riaddormentare. Imploro la carità, la carità del sonno, dell’oblio, di un pensiero superficiale, di qualsiasi cosa che possa stendere sulla mia mente un velo di nulla. Gli dei a cui mi appello di solito sono equamente insensibili, e intanto si sono fatte le quattro, pertanto le opzioni che si profilano di solito sono due: benzodiazepine (funzionano come Dio, ma sono più a buon mercato), o il risveglio completo. Cucino, stiro, lavo, guardo la televisione, scrivo e arrivo alla mattina, pronta a una nuova ed entusiasmante giornata di lavoro.

Non so se faccia bene o male dormire così poco (penso non bene comunque, ma la prendo sportivamente) fatto sta che dopo un mese d’insonnia nera, ho deciso di prendermi un’altra laurea e mi sono iscritta all’Università.
Ho pensato che tanto ho già letto metà dell’etica di Spinoza, quindi insomma, se va tutto male si frequenta l’Università di Chiara, quella notturna, insieme ai turnisti, alle prostitute, agli addetti ai supermercati aperti tutta la notte, a quelli che puliscono le strade di Milano, alle guardie mediche, ai medici di turno al Pronto Soccorso, alle madri e ai padri dei neonati, alle coppie che fanno l’amore, ai camionisti, a tutte le categorie di persone che lavorano di notte che non ho citato e agli insonni, miei cari amici, che la mancanza di sonno vi porti bene, e se non lo facesse, compratevi l’Etica di Spinoza e fatevi prescrivere l’Halcion, uno dei due di sicuro funziona!

Grandi interrogativi di inizio anno

Mai ‘na gioia

Non me la sento di fare prognostici per questo 2018. Mi spaventa progettare il futuro, o anche solo immaginarlo. Sarà che ci sono troppi elementi traballanti nella mia vita ultimamente, situazioni appese che durano da troppo tempo perché possano resistere incolumi anche quest’anno.  Mi aspetto la famosa resa dei conti che sembra essere lì, ad attendermi, supportata anche da previsioni astrali che mi vedono protagonista di una Waterloo astrologica. Saturno e Urano contro, quadrature di pianeti non ancora conosciuti, Giove in retromarcia. Non che abbia mai creduto alla veridicità degli oroscopi, ma sono anche una persona umile che vede attorno a sé un mondo pieno di fenomeni ben lungi dall’essere conosciuti e spiegati, e quindi chi sono io per dire che non ci sia una connessione fra stelle e destino. Di certo c’è una connessione fra Luna e maree, quindi insomma se i pianeti influenzano il mondo fisico, forse possono anche influenzare quello immateriale.

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Comunque una cosa mi ero ripromessa, di non leggere libri di letteratura russa all’inizio dell’anno, come feci l’anno scorso con Memorie dal Sottosuolo del caro Fëdor, perché la letteratura russa è una specie di maledizione, è tanto bella quanto scava a fondo e iniziare l’anno con un certo grado di profondità impone che quel grado di introspezione tu possa supportarlo durante tutto l’anno, e invece da questo punto di vista sono stata una mezza chiavica: ho perso un sacco di tempo in modo inutile, guardando serie tv improbabili, leggendo riviste femminili prive di utilità, commiserandomi per tutto quello che non funzionava come volevo io, senza fare nulla ovviamente che potesse dare una direzione precisa agli eventi.

Quindi trascinata un po’ come una barchetta spinta dalla corrente, durante il passato 2017 non ho fatto altro che ruotare attorno al perimetro di una vasca ittica da allevamento, compiendo grandi chilometri che di fatto non mi hanno portata da nessuna parte. Forse questa è la vita adulta, non lo so, ma è come se non riuscissi ad accettare questa specie di emorragia di vita che perdiamo quotidianamente lasciando trascorrere le giornate così, come vengono.

Lo trovo lacerante e forse non mi rassegnerò mai, come non riuscirò mai a rassegnarmi al fatto  di non essere nata con il talento di Jane Austen e il genio di Woody Allen.

Forse mi sto preparando a lunedì 15 gennaio che pare sia il lunedì più triste di tutto l’anno, quando ci si rende conto che mancano sei mesi alle vacanze estive e che quelle natalizie sono del tutto archiviate. Io ho passato le vacanze natalizie a letto con l’influenza della vita, ho saltato Natale, Santo Stefano, Capodanno e la Befana. Insomma il Blue Monday mi dovrebbe fare una pippa, invece riesce a deprimermi più di quanto batteri e virus abbiano già fatto.

Mai ‘na gioia, insomma. Mi consolo correggendomi la tisana con il Braulio la sera prima di andare a dormire: forse entro la fine dell’anno riesco a farmi venire la cirrosi epatica  come Bukowski. Vi aggiorno!

Buon Anno a tutti eh!

 

 

Buoni propositi

Detti anche elenchi inutili

Superata la soglia dei trenta, stilare la lista dei buoni propositi per l’anno nuovo diventa un’attività che sconfina nel penoso. In primis perché è raro che si depenni anche solo una voce della suddetta lista, secondo perché quello che ci si propone di migliorare nella propria vita (mangiare sano, andare a letto presto, iscriversi in palestra, bere tanta acqua) aggiunge disagio a un quotidiano che è già di suo drammatico. Non è facile infatti iniziare a sentire i primi acciacchi, realizzare che non sono capelli biondissimi quelli che vedi, ma bianchi, o fare a patti con l’invecchiamento dei tuoi ovuli e con gli attacchi di cervicale. I buoni propositi in un contesto simile aumentano solo il tasso di frustrazione e quindi, in dignitosa antitesi con il sistema, io affronto l’inizio di ogni anno, con il mio solito e proverbiale lassismo. Anzi, tendo anche a cullarmi nella depressione, conscia del fatto che se si inizia l’anno al peggio delle possibilità non potrà che andare meglio.

Quest’anno però, a differenza dei precedenti, ho dedicato massima attenzione al libro che avrebbe dovuto aprire le danze a questo 2017, che secondo tutti gli oroscopi disponibili on line, dovrebbe essere per la Bilancia, un anno non male.  Stazionava sul comodino da tempo, ma ho sempre storto il naso all’idea di iniziarlo, perché non mi sentivo pronta a leggere il mio amico Fëdor senza la giusta predisposizione d’animo. Bene, terminate le feste e conclusa la bagarre natalizia con le sue atmosfere zuccherine e stucchevoli, ho inaugurato Memorie dal Sottosuolo. Per ora ho solo letto ventotto pagine, quindi non posso esprimermi molto in merito, ma posso però già confermare quella nota ed edificante sensazione di prossimità che mi pervade ogni qualvolta leggo un libro del buon Dostoevskij. Certo lui era un genio russo con l’epilessia, io sono solo una giovane donna che respira particolato e polveri fini a Milano, però questo fatto dei tormenti della coscienza ipertrofica, li capisco. Anche io nel mio piccolo tendo a farmi mille domande e crogiolarmi nei miei dolori provando una lieve forma di sadico godimento nel non risolverli. Ecco, dunque, pur non essendo ancora entrata nel merito del libro mi piace, e lo consiglio a tutti voi, lettori inesistenti, se avete come me un problema di coscienza ipertrofica. Magari se siete innamorati o felici o avete vinto al superenalotto, no, però se siete come me alla ricerca di diamanti preziosi con cui levigare gli animi affranti, salutate anche voi il 2017, con siffatto gioiellino.

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