Sono in arretrato con la scrittura più o meno come sono in arretrato con la vita. Questo è il classico momento dell’anno in cui l’unico pensiero persistente e ossessivo riguarda le ferie estive, ovvero il momento in potrò appoggiare la penna alla scrivania e salutare tutti chiudendo il capitolo lavoro e riaprendolo solo a settembre. A questo benedetto e agognato momento mancano ancora quattro settimane, alle quali arriverò probabilmente trascinandomi sui gomiti e con il viso nel fango come Soldato Jane, solo molto meno atletica e molto più sofferente.
Fortunatamente l’estate 2018 appare meno tragica dello scorso anno, e anche se appena la temperatura si alza di qualche grado io penso sempre di morire squagliata in una metro senza aria condizionata, quest’anno sono più ottimista e quasi, ma non vorrei esagerare, positiva.
La verità è che è stato un anno duro, da tutti i punti di vista: ho inaugurato l’anno nuovo con l’influenza del secolo, una crisi di coppia di quelle non da scherzare, una crisi di vita e prospettive lavorative se vogliamo ancora più profonda, attacchi d’ansia e di panico, più altri vari annessi e connessi che la vita ama metterti sul cammino come un Pollicino sadico con il gusto per l’horror.
In mezzo a questo tsunami di situazioni, la lezione che ho imparato e che continuo umile ad imparare ogni giorno è che non si può sfuggire dalla vita, dalle cose, dalle situazioni, dalle rese dei conti. Si può tentare di scansare, schivarle, posticiparle a quando ci sentiremo pronti ad affrontarle, ma tutto torna e prima o poi (sarebbe auspicabile prima che poi ma anche questo è relativo) sono da affrontare. L’unica alternativa è saper gestire il rimpianto e l’inedia, attività nel quale io sono una loser completa. Ho un terreno emotivo su cui attecchiscono con estrema facilità gramigne emotive che poi fatico ad estirpare, anche a causa di una molle pigrizia e di un denso lassismo che fanno parte del mio essere da quando sono al mondo.
E alla fine, quando si rimanda in aeternum, si sta nel mondo con un gatto in testa che disturba la visuale. Programmare, pensare, progettare, diventano difficili perché c’è un costante elemento perturbativo che fa inciampare, oscillare, cadere. Io alla mia ansia ho dato più o meno questa forma e queste caratteristiche feline, mi ci sono anche affezionata, perché posso dare la colpa a lei per tutto quello che non faccio e che sta sfuggendo di mano nella mia vita.
Se siete anche voi degli addicted alle sindromi ansiogene e volete mettere alla prova i vostri muscoli e la vostra resistenza psicologica agli orrori, vi suggerisco di pensare a intraprendere la lettura di 2666 di Roberto Bolaño. Io l’ho fatto in questi mesi, e nonostante mi sia venuto il tunnel carpale reggendo in metropolitana per più di 60 giorni un libro da almeno un chilo (900 pagine circa) e abbia una perenne nevralgia alla spalla destra (dove lo mettevo in borsa), sono orgogliosa di poter dire di averlo letto.
È un’opera molto complessa, e io sono come sempre una delle persone meno adatte quando si tratta di parlare di libri (mi stanco subito e la faccio corta), ma in un contesto sociale così difficile come l’attuale, mi piace dare questi suggerimenti che aprono a scenari e sfide ancora più complicate, perché mi distraggono un po’ dalle ultime sortite del nostro comune amico Salvini.
Il testo, che Adelphi ha pensato bene di accorpare in un unico tomo, è suddiviso in 5 romanzi indipendenti. Questo vuol dire che potete leggerli nell’ordine che preferite, io l’ho letto nell’ordine canonico perché sono una che non ama improvvisare.
Parlarvi della trama o semplificarla, è cosa ardita, perché in realtà 2666 è un romanzo dentro al romanzo, in cui parallele ad un plot che lega le diverse parti dell’opera si intrecciano altre storie, personaggi secondari, trame alternative che hanno la stessa importanza e sviluppo di quella principale. Non vi capita mai leggendo un libro di pensare, ah ma adesso questo personaggio cosa farà? Ma la cugina della sorella di Pip è morta o è viva? E l’oste a cui D’Artagnan ha distrutto la locanda poi cosa avrà fatto?
Ecco 2666 è la risposta a tutte le trame secondarie mai raccontate nella storia della letteratura. Va da sé che non è una lettura da spiaggia, anzi è molto impegnativa, rutilante, caotica e in molti tratti dispersiva. Anche perché Bolaño è un maestro della citazione, conosce un’ampia fetta dello scibile umano che spazia dalla storia, arte, letteratura, musica e non manca di stupirti con delle perle rare che inserisce con grazia all’interno del suo narrare. Probabilmente come me, vi appassionerete di più alle trame secondarie che a quella principale.
Per rendere però questa micro discussione su 2666 una vera infamia, non vi racconterò brevemente cosa succede, perché prima non c’è un modo breve per raccontarlo, secondo perché per quello esistono le quarte di copertina o qualsiasi sito offre quasi sempre una breve sintesi dell’opera migliore di quella potrei fare io.
Vi posso dire però che se amate il Messico, la seconda guerra mondiale, i misteri, il sesso, la letteratura, e avete lo stomaco forte per resistere a quasi 400 pagine di descrizioni dettagliate di femminicidi (donne mutilate, stuprate, impalate) e non ultimo amate Bolaño, trovatevi due mesi di tempo per leggerlo perché come tutte le cose difficili nella vita, poi la ricompensa è sempre all’altezza.
Per finire, volevo suggerirvi una giusta colonna sonora per la lettura di questo libro, visto che ho una persona a cui voglio molto bene, con un gusto raffinato per la musica (che io non ho) e che consulto sempre utilitaristicamente (ma anche e soprattutto perchè mi piace avere a che fare con lei) per farmi suggerire brani contro i problemi del quotidiano (dormire, rilassarsi, leggere, andare in palestra, sclerare) e che, salvo rare eccezioni (pezzi troppo selezionati per un orecchio ignorante come il mio) ci ha sempre azzeccato. Però visto che sto ancora deliberando sulla colonna sonora migliore magari ve la scrivo nel prossimo post.
Ringrazio al solito i miei cinque/sette lettori di sempre, che nonostante le mie sparute sortite sul blog mi danno fiducia e mi leggono. Potrebbe anche essere che ci capitino per sbaglio, ma non è che questo ai miei occhi abbia meno importanza.