Mosaici tristi de li tempi nostri

Cibo, balletti e scrolling infiniti

Ho letto da qualche parte che Stephen King, durante un’intervista, all’annosa domanda, “Da dove ti viene l’ispirazione per i tuoi libri?”, rispose per estrema sintesi che gran parte delle sue idee rispondevano ad una semplice interrogazione che si faceva prima di iniziare a scriverne uno, ovvero “Nella realtà cosa succederebbe se…” e da lì provava ad immaginare scenari in cui elementi in forte contrasto si fondevano, ad esempio cosa succederebbe se un San Bernardo diventasse cattivo, se un clown uccidesse i bambini, se un uomo e la sua famiglia si trovassero in un hotel isolato in montagna e cosi via.

La domanda alla base dei suoi plot narrativi sembrava dunque apparentemente semplice, ma in realtà apriva a molteplici scenari di sviluppo narrativo e più in generale di ragionamento.

Ieri seguendo questa scia mi sono interrogata similmente riguardo a un tema su cui sto riflettendo parecchio nell’ultimo periodo e ho pensato “Cosa succederebbe se alieno sbarcasse sulla terra e per capire meglio la civiltà umana guardasse i contenuti pubblicati su instagram/tik toc? Che idea si farebbe?”.

Dopo aver rimuginato su questa prospettiva ho fatto un elenco delle macro-evidenze non più trascurabili, materiale utile all’ET di turno per trovare un senso a ciò che senso (apparentemente) non ha.

Iniziamo con:

  • fastidiosa propensione ad eseguire balletti in tutte le occasioni: i reel, come diceva dei toscani Stanis La Rochelle, hanno rovinato questo paese. Non c’è marito, fidanzata, famiglia, bambino e animale domestico che non venga obbligato ad ancheggiare al ritmo della hit dell’estate muovendo i pugni in una perenne e ripetitiva danza;
  • massiccia presenza di individui affetti da narcisismo e sindrome del plagio: diffusa è la convinzione che ognuno degli abitanti dei social network abbia qualcosa di interessante e/o unico da comunicare e in virtù di questo assunto combattere il plagio e riguardarsi dai colleghi malelingue è la loro missione di vita;
  • ossessione per il cibo e in particolar modo per le proteine e il mondo fit: il quantitativo di ricette presenti sui social network è assolutamente fuori concorso, l’ossessione per il cibo cucinato, ma soprattutto presentato bene, non ha eguali. In più l’odio per i carboidrati e la predilezione per budini e yogurt proteici potrebbero far pensare a qualche sindrome mondiale da deficit proteico, e invece come sempre è solo marketing;
  •  la grande bellezza del non invecchiare mai: maschere, creme, integratori e trattamenti, per una donna (ma anche per un uomo) essere belli è importante, sempre e in ogni luogo. A dare un extra boost di bellezza ci pensano i filtri, l’imperativo è esserci, agli aperitivi, ai concerti, agli eventi, ovunque valga la pena fotografare un sanpietrino al tramonto con l’hashtag #emozioneunica.
  • gli hater, anche detto l’odio abbassato al livello dei barboncini (è un adattamento di una citazione di Celine che dice “L’amore è l’infinito abbassato al livello dei barboncini”). Da quando ci siamo messi in testa che la nostra opinione, in quanto semplicemente nostra, sia necessariamente importante per le sorti del mondo, l’odio da tastiera è diventato protagonista. Insulti gratuiti, diffamazioni, bodyshaming, l’importante è colpire, perché anche con l’odio è meglio essere massimamente ambiziosi.

Terminiamo con:

  • quelli che osservano, sorridono, si indignano e non ammettono che in fondo questo intrattenimento gratuito riempie anche il loro tempo libero, come me medesima che sto qui a scrivere i simposi a Milano, con temperature sub sahariane, sudando e soffrendo come un Giacomo Leopardi, mentre vorrei solo farmi una maschera e ingozzarmi di budini proteici con zero zuccheri e poche calorie.

ps: i barboncini sono dei cani meravigliosi e non so perché Celine ce l’avesse con loro, a titolo di risarcimento gli ho dedicato l’immagine di chiusura di questo post in cui invero si vede la loro nobile espressione che tende all’infinito, sperando  così che la comunità dei Barboncini Uniti non si offenda.

Insonnia

Virtù teologali del non dormire

A settembre, lo diceva anche D’Annunzio, è tempo di migrare. Poco importa che siano migrazioni fisiche, psicologiche, emotive, situazionali o meteorologiche, settembre è il classico mese di transito che ti conduce dalla fine dell’estate all’autunno (questo almeno prima che si manifestasse il global warming), che ti traghetta dall’ozio delle vacanze estive al rientro al lavoro, che ti pone delle domande, che ti scuote l’anima chiedendo risposte agli interrogativi che uno evita di porsi da aprile in poi, che tanto si sa, si aspettano le vacanze estive.

Questo almeno per la maggior parte delle persone, che vede in settembre, e non in dicembre il reale inizio dell’anno. Io che sono sempre in ritardo su tutto, e che faccio del procrastinare uno stile di vita, attribuisco questo potere rigenerativo al mese di ottobre, un po’ perché mi è più simpatico, un po’ perché ci compio gli anni e quindi fare il punto della situazione è dovere e non velleità.
In questi criptici cambi di stagione e di vita il mio pensiero si fa prepotente e rutilante a causa di una delle affezioni più note e più stressanti di sempre, che pare affliggesse anche le notti del buon Gaio Augusto Cesare: la cara e odiata insonnia.
Io sono un insonne intermittente, dormo bene per mesi (soprattutto quelli invernali), poi dormo malissimo per altri mesi, poi ricomincio a dormire bene, poi male, poi bene, e avanti così in un perpetuo ciclo del disagio che tento ogni volta di gestire nel modo migliore possibile, ma spesso non all’altezza della situazione.
Celine diceva: “Se avessi sempre dormito bene non avrei mai scritto un rigo…” e sono anche io piuttosto convinta che lo stream of consciousness notturno sia prolifico per la scrittura e la creatività e la riflessione profonda, ma trovo allo stesso tempo che sia molto inadatto a chi conduce una vita diurna lavorativa, tipo me.
Le mie notti ultimamente assumono quindi dei toni dai contorni mistici, in cui l’obiettivo finale non è l’eterna benedizione ma qualche ora di sonno ristoratore.

20180820150715_dip.ant104_3

FEDE
L’appropinquarsi al coricarsi è ebbro della certezza che dormirò. Mi convinco che convincermi che riposerò bene tenga a bada l’ansia, sciolga i nervi, mi proietti già in una dimensione di relax.
Metto in atto le routine che qualsiasi sito web anti-insonnia propone come panacee: bagni caldi, tisane, luci soffuse, letture lente. Faccio bene i compitini e almeno un’ora di prima di dormire evito anche di usare iphone, ipad, televisori, computer, qualsiasi supporto che emani una luce che non sia quella delle lampade analogiche. Per un certo periodo mi sono anche corretta le tisane con il Braulio, come faceva mia nonna quando ero piccola per farmi rilassarmi e dormire, mandando in bestia mia madre che prevedeva per me un sicuro futuro da alcolista.
Medito, ascolto playlist rilassanti e rumori bianchi, metto i tappi nelle orecchie, le mascherine anti-luce e mi stendo, sicura che il sonno arriverà. E il sonno arriva di solito, la mia fede incrollabile soddisfatta.

SPERANZA
E dormo. Per qualche ora, non di più, dopodiché mi sveglio. Mi sveglio e allora inizio a sperare che sia solo una veglia passeggera, un rapido risveglio e che riuscirò a riaddormentarmi presto. Per la maggior parte delle volte questo non accade e quindi inizio a pensare. A tutto, qualsiasi cosa possa essere oggetto di pensiero: cosa mangerò a colazione, cosa ci faccio al mondo, che senso ha la vita, le lavatrici da fare, cosa dovrò fare l’indomani in ufficio, perchè non sono felice, perchè penso che dovrei essere felice e così via. Di solito raggiungo il climax dell’angoscia dopo un’oretta di sveglia, così speranzosa mi alzo e decido di spostarmi in soggiorno, dove da tempo staziona il mio amico notturno, lui, che condivide, insieme al fedele cane, le mie notti insonni: Baruch Spinoza.
Vorrei fare l’intellettuale chic e dirvi che ho comprato l’Etica di Spinoza per spingermi sempre più a fondo nel pensiero di uno dei filosofi per me più interessanti, (motivazioni che di fatto mi hanno spinta all’acquisto di questo tomo imponente), ma vi confesserò la verità: è un libro così noioso (e complesso e straordinario e profondo, blablabla) che lo leggo la notte per riaddormentarmi. Funziona abbastanza, ma non sempre. Quando funziona di solito mi riaddormento e riposo fino al mattino.

CARITA’
Quando non funziona, subentra l’ultima fase, quella della disperazione nera dove imploro tutti gli dei a me conosciuti di farmi riaddormentare. Imploro la carità, la carità del sonno, dell’oblio, di un pensiero superficiale, di qualsiasi cosa che possa stendere sulla mia mente un velo di nulla. Gli dei a cui mi appello di solito sono equamente insensibili, e intanto si sono fatte le quattro, pertanto le opzioni che si profilano di solito sono due: benzodiazepine (funzionano come Dio, ma sono più a buon mercato), o il risveglio completo. Cucino, stiro, lavo, guardo la televisione, scrivo e arrivo alla mattina, pronta a una nuova ed entusiasmante giornata di lavoro.

Non so se faccia bene o male dormire così poco (penso non bene comunque, ma la prendo sportivamente) fatto sta che dopo un mese d’insonnia nera, ho deciso di prendermi un’altra laurea e mi sono iscritta all’Università.
Ho pensato che tanto ho già letto metà dell’etica di Spinoza, quindi insomma, se va tutto male si frequenta l’Università di Chiara, quella notturna, insieme ai turnisti, alle prostitute, agli addetti ai supermercati aperti tutta la notte, a quelli che puliscono le strade di Milano, alle guardie mediche, ai medici di turno al Pronto Soccorso, alle madri e ai padri dei neonati, alle coppie che fanno l’amore, ai camionisti, a tutte le categorie di persone che lavorano di notte che non ho citato e agli insonni, miei cari amici, che la mancanza di sonno vi porti bene, e se non lo facesse, compratevi l’Etica di Spinoza e fatevi prescrivere l’Halcion, uno dei due di sicuro funziona!

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: