Uno degli aspetti di cui mi sento più privata da questi tempi balordi è quello dell’attesa. Ci ho riflettuto giusto questo week-end, reduce da un binge watching scatenato che mi ha portata a consumare una serie tv di tipo dodici puntate in due giorni. Nonostante non riuscissi a smettere, posseduta dal demone del consumo folle e incapace di pensare ad altro se non terminarla, alla fine, terminata la scorpacciata, concluso il valzer, visto il finale, non mi sono sentita meglio. Al contrario, ho provato la stessa sensazione del mal di pancia dopo un’indigestione, una sorta di nausea del technicolor, un rifiuto totale della situazione, nonché a conti fatti una totale non comprensione di quello che avevo visto perché concentrato in un lasso di tempo così ristretto.
Automaticamente ho ripensato a come funzionavano le cose quando ero una bambina, quando non tutto era on demand, anzi quando l’attesa e il pathos erano parte preponderante della mia vita. E non so se sia la classica nostalgia canaglia, o altro, ma mi sembra che tutto fosse sì più complicato, ma anche più bello. Ricordo che si aspettava per giorni, a volte settimane, che un film o un cartone venisse proiettato in tv. E quando questo succedeva uno dei miei fratelli si piazzava su tappeto una mezz’ora prima, in attesa che la proiezione iniziasse, per poi comunicarlo con un poderoso urlo: “É iniziato, correte”. E si correva davvero, tutti incollati al televisore, realmente concentrati sulla visione, che magari per mesi o settimane non ci sarebbe più stata.
Questa prospettiva della non ripetizione immediata creava un’emozione molto intensa, e non solo, in qualche modo il messaggio che si riceva aveva qualcosa di pedagogico, si era educati all’idea che non tutto poteva essere posseduto subito e ora. C’erano delle regole e una di quelle regole era saper aspettare. Aspettare che il fidanzatino telefonasse senza sapere quando, aspettare che qualcuno venisse a trovarci senza annunciarsi, aspettare che il proprio cartone preferito andasse in televisione, aspettare l’estate per andare al mare, aspettare per poter avere l’età giusta per restare fuori a dormire e così via.
Negli ultimi anni tutto è cambiato, tutto è diventando on demand. Possiamo decidere quando e come e perché vedere un film o una serie tv (con qualche limitata eccezione), possiamo telefonare e raggiungere qualcuno in qualsiasi luogo e ora, possiamo andare al mare d’inverno, possiamo ordinarci il pranzo, la spesa e qualsiasi cosa senza muoverci da casa, perché qualcuno lo porterà per noi.
È come se le cose del mondo si stiano sempre più organizzando verso l’ego riferimento, verso la risoluzione di qualsiasi tensione o esigenza che proviene dall’io. Egocentriche le cose lo sono sempre state: l’uomo ha vissuto nel mondo plasmandolo e intervenendo sulla Natura per renderlo più funzionale alla sua vita. Ora sta succedendo una cosa simile ma diversa, perché la tecnologia ha in realtà risposto alle necessità non dell’uomo come categoria, ma del singolo, come individuo, ponendolo al centro dello sviluppo di risposte funzionali. Riduzione dei tempi d’attesa, riduzione della frustrazione, riduzione del contatto con l’Altro, riduzione delle code, riduzione delle complicazioni.
Tutte cose utili e buone, che però hanno spazzato via anche il pathos, la gioia di non sapere, il languore che deriva dal non poter controllare tutto e che porta ad aprirsi alla magia dell’inedito e dello sconosciuto.
Io credo che non ci debba stupire molto di quello che sta succedendo nel mondo in questo momento: si sta organizzando sempre di più una risposta, anche politica, che tutela le necessità del singolo e non della collettività, concetto probabilmente già in via d’estinzione, anche se continuamente citato e caldeggiato.
Comunque, nonostante non sarò io a risolvere gli scabrosi problemi di questa umanità, mi piace pormi sommi quesiti esistenziali che peggiorano il mio mal di stomaco, problematizzano le mie notti, e mi fanno consumare quantità eccessive di cioccolata.
Per chi volesse approfondire la questione relativa alla nostalgia in modo puntuale, vi lascio questo articolo che la spiega meglio di come la potrei spiegare io. Non abbiate pregiudizi sulla testata che lo pubblica, perché è davvero scritto bene e il tema è davvero interessante e pieno di spunti.
Vorrei però sapere da chi mi legge, se anche voi siete dei nostalgici oppure vi integrate bene nel mondo, e nel caso come fate a gestirla decentemente, ecco. Io onestamente sono abbastanza disastrosa, ma mi piace pensare che nel tempo potrò migliorare!